Febbre Mediterranea Familiare
- Gruppo Sadel
- 9 set
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La febbre mediterranea familiare (FMF) è una malattia genetica rara a carattere autoinfiammatorio, caratterizzata da episodi ricorrenti di febbre elevata associati a manifestazioni infiammatorie dolorose, principalmente a carico di peritoneo (addome), pleure (torace) o articolazioni. Come suggerisce il nome, è più frequente nelle popolazioni originarie del bacino del Mediterraneo: ne sono colpiti soprattutto individui di etnia turca, armena, araba, ebraica sefardita, nonché alcune popolazioni del Sud Italia e delle isole. La malattia è dovuta a mutazioni in un gene chiamato MEFV sul cromosoma 16, che codifica per una proteina (pirina/marenostrina) coinvolta nella regolazione della risposta infiammatoria. La trasmissione è autosomica recessiva: per sviluppare la malattia il bambino deve ereditare due copie mutate del gene, una da ciascun genitore (che di solito sono portatori sani). In alcune famiglie, anche portatori di una singola mutazione possono manifestare qualche sintomo, ma tipicamente in forma attenuata.
La FMF esordisce di solito in giovane età, spesso nell’infanzia o nell’adolescenza: oltre il 90% dei casi iniziano prima dei 20 anni, frequentemente già sotto i 10.

Il quadro clinico tipico consiste in attacchi acuti di febbre e infiammazione che compaiono improvvisamente, durano 1-3 giorni e poi si risolvono spontaneamente, con intervalli liberi tra un episodio e l’altro. Durante gli attacchi, il sintomo più comune è la febbre alta (38-40°C) accompagnata da dolore addominale intenso causato da una peritonite acuta sterile. Il bambino (o adulto) può presentare tutti i segni di un “addome acuto”: dolore addominale diffuso, difesa muscolare della parete, talvolta nausea, vomito e diarrea. Questo dolore può essere talmente severo da simulare un’appendicite o un’altra emergenza chirurgica, tant’è che non di rado in passato pazienti con FMF venivano operati inutilmente prima che si riconoscesse la vera natura degli episodi. Un altro sintomo frequente è il dolore toracico pleuritico: l’infiammazione delle pleure provoca dolore puntorio al fianco/torace che si esacerba con la respirazione profonda, talvolta associato a respiro corto. Alcuni maschi possono avere dolore e gonfiore scrotale per coinvolgimento della tunica vaginale del testicolo (orchiepididimite). Inoltre, circa il 50-60% dei pazienti durante gli attacchi presenta dolori e tumefazioni articolari, soprattutto alle grosse articolazioni degli arti inferiori (ginocchia, caviglie). Queste artriti acute in genere sono monoarticolari e si risolvono anch’esse in pochi giorni, anche se in alcuni casi possono durare settimane. Un segno cutaneo caratteristico e abbastanza specifico è il cosiddetto “rash a mantellina” o erisipela-like: una chiazza di eritema rosso e caldo, ben delimitata, spesso a livello del dorso del piede o della caviglia, che compare durante l’attacco e somiglia ad un’erisipela infettiva ma in realtà è sterile..
Durante gli intervalli liberi, il paziente con FMF sta bene e non ha sintomi; la crescita e lo sviluppo nei bambini sono normali se la malattia è ben controllata. La frequenza delle crisi varia da persona a persona: c’è chi ha attacchi ogni 1-2 settimane, chi uno ogni qualche mese. Possono essere scatenati da fattori come stress emotivi, sforzi fisici intensi, mestruazioni, ma spesso insorgono senza un evidente trigger. Gli esami di laboratorio durante l’attacco mostrano i classici segni di infiammazione acuta: leucocitosi, VES e PCR altissime, elevatissima proteina SAA. Fuori dall’attacco, questi valori tornano alla norma o quasi. Proprio la proteina amiloide A sierica (SAA) persistentemente elevata in chi ha crisi frequenti è responsabile della principale temuta complicanza della FMF: l’amiloidosi di tipo AA. Se la malattia non è trattata, nel tempo i depositi di amiloide si possono accumulare in vari organi, soprattutto nei reni, causando insufficienza renale (sindrome nefrosica). L’amiloidosi AA era storicamente la causa di mortalità nella FMF non trattata, portando i pazienti in dialisi in giovane età.
Fortunatamente, dagli anni ’70 esiste una terapia semplice ed efficace che ha rivoluzionato la prognosi: la colchicina. Questo alcaloide, estratto dalla pianta del colchico d’autunno, assunto quotidianamente per bocca è in grado di prevenire nella maggior parte dei casi gli attacchi infiammatori della FMFospedalebambinogesu.it. La colchicina infatti modula la risposta dei neutrofili (che sono gli attori principali degli attacchi autoinfiammatori nella FMF). La grande maggioranza dei pazienti (oltre il 90%) risponde molto bene: assumendo colchicina tutti i giorni, non presenta più attacchi febbrili o li vede ridursi drasticamente in frequenza e intensità.
Questo consente di condurre una vita del tutto normale. Inoltre, la colchicina ha il ruolo cruciale di prevenire l’amiloidosi: mantenendo bassi i livelli di infiammazione (SAA), impedisce quei depositi nei reni e in altri organi. È fondamentale però che la terapia sia assunta regolarmente e a vita : se un paziente sospende la profilassi, i sintomi inevitabilmente ritornano e si rimette a rischio di complicanze. La dose di colchicina viene calibrata in base al peso e alla tolleranza: alcuni possono avere come effetti collaterali diarrea o crampi addominali (la colchicina infatti ha effetto sui microtubuli intestinali). Si cerca la massima dose tollerata che previene gli attacchi. Per quei pochi pazienti che non rispondono adeguatamente alla colchicina (o non la tollerano), negli ultimi anni sono disponibili terapie alternative: in particolare, farmaci biologici anti-Interleuchina 1 (come canakinumab) che bloccano la principale citochina coinvolta nella FMF. Questi farmaci, somministrati per iniezione periodica, hanno mostrato di controllare la malattia nei casi resistenti. Fortunatamente, rappresentano una minoranza.
La prognosi oggi è ottima per chi segue la terapia: i pazienti con FMF in profilassi regolare hanno un’aspettativa e qualità di vita normali, senza limitazioni particolari. Possono frequentare la scuola, lavorare, fare sport (anzi, l’attività fisica leggera è incoraggiata fuori dagli attacchi). Possono avere figli: la colchicina è considerata sicura in gravidanza e anzi va continuata per evitare attacchi durante la gestazione. Un paziente ben controllato può arrivare a dimenticare di avere la malattia, a parte il gesto quotidiano di prendere la compressa. Invece, se la FMF non viene diagnosticata e trattata, il susseguirsi di attacchi dolorosi rovina la vita: frequenti ricoveri in ospedale, laparoscopie/esplorative inutili, e col tempo – come detto – un alto rischio di amiloidosi renale entro i 30-40 anni. Ecco perché diffondere la conoscenza della malattia (specie tra medici che operano nelle regioni dove è più prevalente) è stato ed è fondamentale.
Dal punto di vista del paziente, imparare a convivere con la FMF significa soprattutto accettare la terapia continuativa anche quando si sta bene. Non è sempre facile convincere un adolescente a prendere la medicina ogni giorno per qualcosa che in quel momento non sente (perché la profilassi elimina i sintomi); a volte capita l’aderenza cali nell’età giovanile, con ricomparsa di attacchi, ma con l’educazione adeguata si sottolinea che quella pillola è ciò che gli consente di non avere febbri né dolori e di evitare danni futuri. Non ci sono particolari restrizioni dietetiche o stili di vita per la FMF: ovviamente, durante un attacco il paziente deve riposare e gestire il dolore (si usano FANS, analgesici fino a che l’episodio passa). Ma fra gli attacchi (o quando gli attacchi non avvengono proprio grazie alla terapia) la persona è come qualsiasi altra.
In conclusione, la febbre mediterranea familiare è un esempio di malattia genetica grave che però può essere tenuta perfettamente sotto controllo con una terapia semplice, se viene riconosciuta. Purtroppo, essendo rara e circoscritta a certe etnie, in passato molti pazienti hanno sofferto a lungo prima di avere diagnosi. Oggi, specialmente nelle comunità a rischio, chi presenta febbri periodiche misteriose dovrebbe far pensare a FMF e indirizzato a test genetici e valutazione reumatologica. Una volta iniziata la colchicina, questi pazienti rifioriscono: non più giorni persi a letto con febbre e dolore, non più paura costante del prossimo attacco. Per questo la FMF rappresenta una storia di successo nella reumatologia pediatrica e non: da malattia che poteva esitare in morte prematura per insufficienza renale, è diventata una condizione cronica gestibile in cui i pazienti possono avere un’ottima qualità di vita e un futuro assolutamente normale.
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