Multimorbidità
- Gruppo Sadel
- 24 lug
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Il termine multimorbidità indica la coesistenza di più malattie croniche nella stessa persona. In pratica, un individuo multimorboso è affetto non da una sola patologia, ma da due, tre o più condizioni croniche contemporaneamente (ad esempio ipertensione, diabete e artrosi; oppure cardiopatia ischemica, BPCO e insufficienza renale, e così via). Questo fenomeno è in crescita a causa dell’invecchiamento della popolazione e dei progressi medici: le persone vivono più a lungo e sopravvivono a malattie che un tempo erano letali, accumulando però negli anni diverse patologie. La multimorbidità rappresenta una sfida enorme per i sistemi sanitari e per i pazienti stessi: gestire molteplici malattie richiede cure complesse, molteplici farmaci (politerapia), e aumenta il rischio di interazioni farmacologiche ed eventi avversi. Inoltre, i percorsi di cura tradizionali, spesso focalizzati su un singolo organo o malattia, faticano a dare risposte coordinate a chi ha tante esigenze diverse. È dunque un tema che impone una visione integrata della sanità, con un ruolo centrale della medicina di famiglia e di nuovi modelli assistenziali. Comprendere la multimorbidità è fondamentale per organizzare al meglio l’assistenza agli anziani e ai pazienti fragili.

La multimorbidità sta diventando la norma più che l’eccezione negli anziani. Oltre la metà delle persone sopra i 65 anni presenta almeno tre malattie croniche concomitanti. In Italia, i dati ISTAT 2019 mostrano che circa 7 milioni di ultrasessantacinquenni – più di un anziano su due – riferiscono almeno 3 patologie croniche diagnosticate.
Esempi di multimorbidità: Un caso tipico è l’anziano iperteso, diabetico e cardiopatico. Magari parte tutto dalla sindrome metabolica: sovrappeso → ipertensione e diabete → che nel tempo causano malattia coronarica e insufficienza cardiaca. Oppure l’ex fumatore: BPCO + cardiopatia ischemica + arteriopatia periferica + magari un tumore polmonare pregresso guarito – ecco un altro esempio di co-occurrence. Ancora: la signora anziana con artrosi severa alle ginocchia(che la rende sedentaria) + obesità + depressione + osteoporosi con fratture vertebrali. O il paziente con malattia renale cronica secondaria a diabete + retinopatia + neuropatia periferica + cardiopatia. Si vede come spesso c’è un “cluster” (grappolo) di patologie interconnesse: malattie cardiovascolari e metaboliche vanno a braccetto, così come malattie muscolo-scheletriche e disturbi dell’umore, ecc. Va detto che a volte la multimorbidità comprende malattie non correlate, semplicemente accumulate con l’età (es. prostata ingrossata + sordità da vecchiaia + glaucoma – condizioni non direttamente collegate ma che coesistono). Un aspetto importante: la polifarmacoterapia. Un multimorboso può arrivare ad assumere 5-10 farmaci differenti ogni giorno (antidiabetici, antipertensivi, anticoagulanti, inalatori per BPCO, analgesici, ecc.). Ciò aumenta il rischio di interazioni (un farmaco può ridurre o aumentare l’effetto di un altro) e di effetti collaterali (più pillole, più possibili reazioni avverse). Ad esempio, un anziano con tante medicine rischia cali di pressione (dovuti ai farmaci antipertensivi) e vertigini che possono portare a cadute e fratture. Oppure la difficoltà di gestire orari e dosaggi porta a scarsa aderenza e confusione (soprattutto se c’è anche un deficit cognitivo). Tutto ciò rende la gestione clinica molto complessa.
Sfide e implicazioni: La multimorbilità impone di superare l’approccio “monopatologico” classico. Il nostro sistema sanitario è storicamente organizzato per singole malattie (ambulatorio cardiologico, diabetologico, pneumologico, ecc.), ma un paziente complesso costringe a un coordinamento tra specialisti o, meglio, a un ruolo centrale del medico di famiglia come regista delle cure. Una delle sfide è la prioritizzazione: non sempre si possono seguire alla lettera tutte le linee guida di ogni malattia (che sommate porterebbero il paziente a prendere decine di farmaci!). Bisogna individuare le priorità per quell’individuo – ad esempio, in un paziente molto anziano e fragile, forse trattare con troppa aggressività l’ipertensione o la glicemia non ha senso e può essere pericoloso, meglio concentrarsi sulla prevenzione delle cadute o sul controllo del dolore per la sua artrosi, per migliorare la qualità di vita. Si parla di approccio centrato sulla persona: guardare l’insieme e non il singolo valore fuori norma. Anche la comunicazione e il coinvolgimento del paziente sono cruciali: spesso i multimorbosi devono autogestire terapie complesse, quindi vanno educati e supportati (magari con strumenti come piani di cura scritti chiari, blister settimanali per i farmaci, caregiver coinvolti). Dal lato sanitario, la multimorbidità implica costi più alti e necessità di modelli innovativi: per esempio, ambulatori integrati dove più specialisti visitano insieme (clinic team), percorsi diagnostico-terapeutici per patologie multiple, cartelle cliniche elettroniche condivise tra diversi medici per evitare duplicazione di esami o farmaci in conflitto. Purtroppo, ancora spesso i pazienti riferiscono esperienze frammentate: “ogni specialista guarda solo il suo pezzo”. Questo può portare a prescrizioni contrastanti o difficoltà logistiche (il paziente deve girare tanti ambulatori differenti). Un numero impressionante: uno studio italiano (progetto ARNO diabetici) evidenziò che il paziente diabetico con più patologie poteva avere fino a 10 medici diversi coinvolti nella sua assistenza tra specialista, MMG, cardiologo, oculista, nefrologo, ecc. Coordinare tutte queste figure è una sfida organizzativa.
Prevenzione della multimorbidità: In un certo senso, la multimorbilità si previene mantenendo la salute generale e prevenendo le malattie croniche attraverso stili di vita sani e cure adeguate di eventuali primi problemi. Ad esempio, se un iperteso controlla bene la pressione ed evita di fumare, forse non svilupperà la cardiopatia e la BPCO associata. O se un diabetico tiene la glicemia a target, ridurrà il rischio di complicanze come nefropatia e neuropatia. In generale, la prevenzione delle malattie croniche maggiori (cardiovascolari, metaboliche, respiratorie) – con dieta sana, attività fisica, astensione dal fumo, moderazione nell’alcol, vaccinazioni – è la strada maestra per evitare di accumulare patologie. Un altro aspetto è la prevenzione delle disabilità: ad esempio, evitare cadute nell’anziano può prevenire fratture e conseguente allettamento che porta a cascata di eventi (allettato sviluppa piaghe, polmoniti, perdita massa muscolare...). Quindi misure come attivitá fisica adattata per mantenere equilibrio e forza muscolare, occhiali e apparecchi acustici se servono, eliminare tappeti scivolosi in casa, sono tutte azioni semplici che prevengono l’aggravarsi del quadro clinico di un multimorboso. Inoltre, prevenzione iatrogena: ovvero evitare di aggiungere patologie iatrogene, come effetti avversi dei farmaci. Questo significa prescrivere con parsimonia ed evitare politerapie complesse quando i benefici sono marginali. Ad esempio, su un paziente con aspettativa di vita limitata e tante patologie, forse è inutile introdurre un nuovo farmaco per un fattore di rischio lieve che impiegherebbe 10 anni a dare beneficio. Si punta invece alla de-prescrizione di farmaci non essenziali per semplificare la cura. È un cambio di mentalità: il medico deve guardare al quadro generale e non inseguire ogni singolo numero “sballato” in esami di laboratorio se questo comporta un onere sproporzionato.
Gestione integrata della cronicità: In Italia esiste un Piano Nazionale della Cronicità (PNC) dal 2016, che riconosce la multimorbidità come condizione da affrontare con modelli innovativi. Tra le strategie proposte: gestione proattiva da parte del territorio, con il Medico di Medicina Generale come care manager, affiancato da infermieri di comunità, fisioterapisti, etc. Ad esempio, Lombardia ha introdotto un modello di “Gestione della cronicità” in cui il paziente con più malattie viene arruolato in un percorso gestito da un Clinical Manager (spesso un infermiere) che pianifica esami e visite annuali e funge da raccordo tra specialisti. L’idea è evitare che sia il paziente a dover organizzare da solo gli appuntamenti e dare invece un piano di assistenza individualizzato. Anche la telemedicina può aiutare: monitoraggio a distanza di parametri (pressione, glicemia, saturazione) per intervenire tempestivamente e ridurre ospedalizzazioni. Un concetto centrale è la personalizzazione delle cure: in gergo “What matters most to you?” – cioè capire quali sono gli obiettivi prioritari per quel paziente. Ad esempio, per un anziano la priorità potrebbe essere restare autonomo a casa propria, quindi magari si accetta una glicemia un po’ più alta pur di evitare crisi ipoglicemiche che potrebbero farlo cadere. L’approccio deve essere condiviso col paziente e i familiari (quando presenti).
La multimorbidità è ormai la “nuova normalità” nel paziente anziano e richiede un cambio di paradigma nella medicina. Il messaggio pratico è duplice. Per i professionisti sanitari: “curare il paziente, non la malattia”, ovvero prendersi cura della persona nel suo insieme, semplificando le terapie e coordinando gli interventi, perché l’obiettivo ultimo è la qualità e non la semplice somma di linee guida. Per i pazienti e caregiver: comunicare apertamente con il medico curante riguardo a tutte le cure in corso, portare sempre l’elenco completo dei farmaci ad ogni visita (per evitare doppioni o interazioni), e non esitare a far presente quali cure risultano troppo gravose o inutili nel quotidiano – trovare insieme un compromesso può migliorare la vita di tutti i giorni. Inoltre, è fondamentale non trascurare prevenzione e stili di vita anche in presenza di malattie: mantenersi attivi mentalmente e fisicamente per quanto possibile, seguire una dieta equilibrata anche se si hanno più problemi di salute, aderire ai controlli preventivi (come gli screening oncologici) se appropriato, perché anche con più malattie si può e si deve prevenire di aggiungerne altre. Vivere con multimorbidità può essere difficile, ma con il giusto supporto (anche sociale: aiuto domiciliare, centri diurni) le persone possono mantenere una buona qualità di vita. In conclusione, la multimorbidità ci ricorda l’importanza di un’assistenza sanitaria integrata e umana, capace di prendersi cura del paziente complesso nelle sue molteplici dimensioni, e non solo di sommare protocolli. È una sfida che il nostro Servizio Sanitario sta affrontando e che richiede innovazione, formazione continua e soprattutto ascolto dei bisogni reali degli anziani e dei fragili, per assicurare loro una vita dignitosa e il più sana possibile nonostante le molte diagnosi.