Sindrome di Behçet
- Gruppo Sadel
- 9 set
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La sindrome di Behçet, o malattia di Behçet, è una patologia infiammatoria cronica di origine autoimmune/autoinfiammatoria caratterizzata da un’infiammazione diffusa dei vasi sanguigni (vasculite) e da una serie di manifestazioni sistemiche variabili, tra cui le più tipiche sono ulcere ricorrenti in bocca e nell’area genitale, infiammazione oculare e lesioni cutanee. È una malattia complessa e rara, che colpisce prevalentemente i giovani adulti (esordio spesso tra i 20 e i 30 anni) e con maggior prevalenza nelle popolazioni originarie della “Via della Seta” – Turchia, Medio Oriente, Mediterraneo orientale, fino al Giappone.
Negli uomini la malattia tende ad avere forme più gravi, anche se l’incidenza complessiva è simile tra i due sessi. La causa precisa non è nota: si ipotizza una predisposizione genetica (c’è associazione con HLA-B51) combinata a fattori ambientali (forse infezioni virali o batteriche come trigger). Il risultato è un’alterazione del sistema immunitario che provoca infiammazione ricorrente nei vasi sanguigni di piccolo e grande calibro (quindi tecnicamente la Behçet è anche classificata come vasculite variabile) e conseguenti danni tessutali in vari organi.
Clinicamente, la malattia di Behçet si presenta con una triade classica: ulcere orali, ulcere genitali e uveite. Le ulcere orali (stomatite aftosa) sono quasi costanti: si tratta di afte spesso molto dolorose, rotondeggianti, con fondo giallastro e alone rosso, che compaiono sulla mucosa interna delle labbra, guance, lingua e gola.

Possono essere singole o a grappoli e tendono a guarire in 1-2 settimane, per poi recidivare frequentemente (a volte ogni mese). Quasi tutti i pazienti Behçet ne soffrono e spesso furono il primo sintomo. Le ulcere genitali sono simili per aspetto alle afte orali, ma compaiono su genitali esterni: nell’uomo sullo scroto o asta del pene, nella donna su vulva e vagina. Anch’esse sono dolorose e ricorrenti, e possono lasciare cicatrici. Un altro segno cardine è l’infiammazione oculare: tipicamente una uveite (infiammazione della tunica vascolare dell’occhio) che può essere anteriore (iritis) o posteriore, spesso bilaterale e recidivante. L’uveite causa dolore agli occhi, visione offuscata, fotofobia e può portare a complicanze come glaucoma o edema retinico. Senza un trattamento adeguato, le ricorrenze di uveite possono condurre a perdita parziale o totale della vista: la cecità infatti è una delle complicanze temute della Behçet. Circa il 50-60% dei pazienti sviluppa interessamento oculare nel corso della malattia, più frequentemente i maschi giovani.
Oltre a queste manifestazioni principali, la Behçet è veramente multisistemica. A livello cutaneo, frequenti sono lesioni tipo eritema nodoso (noduli sottocutanei dolorosi, soprattutto sulle gambe) e lesioni acneiformi/pustolose, specie su dorso e volto.
Alcuni pazienti presentano il fenomeno di patergia: se si fa un piccolo graffio o iniezione sottocutanea, si forma una papula o pustola infiammatoria esagerata entro 1-2 giorni, segno di iperreattività cutanea. Vi può essere artrite non erosiva: dolori e gonfiori articolari migranti, soprattutto alle ginocchia, caviglie, polsi; di solito queste artriti non causano deformità e sono transitorie. Frequenti anche i dolori muscolari e una stanchezza generale. Circa un terzo dei pazienti può avere trombosi venosesuperficiali o profonde: la Behçet, essendo una vasculite, può interessare le vene causando flebiti (ad es. tromboflebiti delle gambe, o trombosi di vene profonde che portano gonfiore a un arto). Raramente può infiammare anche arterie di medio e grosso calibro, causando aneurismi (ad esempio aneurisma dell’arteria polmonare, molto pericoloso, o dell’aorta) o occlusioni arteriose. Possono presentarsi manifestazioni neurologiche in circa 5-10% dei casi (“Neuro-Behçet”): l’infiammazione può colpire il parenchima cerebrale (dando sintomi come meningoencefalite, con febbre, cefalea, disorientamento, disturbi motori o sensoriali) o i vasi cerebrali (causando trombosi dei seni venosi cerebrali, con cefalea e papilledema, o raramente ictus arteriosi). Anche l’apparato gastrointestinale può essere coinvolto, soprattutto in pazienti giapponesi e americani (meno nei mediterranei): compaiono ulcerazioni simili a quelle orali ma nell’intestino, provocando dolori addominali, diarrea e a volte sanguinamento intestinale.
La diagnosi è clinica, non esiste un test di laboratorio specifico. Spesso ci si basa sui criteri internazionali, che richiedono la presenza di ulcere orali ricorrenti almeno 3 volte in un anno più almeno 2 tra: ulcere genitali ricorrenti, uveite (o altro coinvolgimento oculare documentato), lesioni cutanee tipiche, test di patergia positivo. Vista la varietà di manifestazioni, la Behçet può inizialmente essere scambiata per altre malattie (ad es. lupus, Crohn, spondiloartriti), ma la combinazione di afte dolorose in bocca, piaghe genitali e problemi oculari in un paziente giovane deve indirizzare fortemente verso questa sindrome. La patergia viene testata pungendo la cute dell’avambraccio con un ago sterile: se dopo 48 ore appare un pomfo arrossato di almeno 2 mm, è positiva (non specifica della Behçet, ma molto suggestiva in contesto giusto).
Quanto a terapia, la malattia di Behçet non ha una cura risolutiva definitiva, ma i trattamenti disponibili permettono di controllare i sintomi e prevenire le complicanze nella maggior parte dei pazienti. Il regime terapeutico va modulato in base agli organi coinvolti e alla gravità. Per le lesioni mucose (afte orali e genitali), si usano terapie locali: collutori e gel a base di cortisone o anestetico per alleviare dolore e accelerare la guarigione delle ulcere, creme al cortisone o tacrolimus per le ulcere genitali. Per ridurre la frequenza delle afte, può essere utile la colchicina (la stessa usata nella gotta e FMF), che ha un effetto antinfiammatorio sui neutrofili: aiuta anche per l’eritema nodoso e l’artrite associata e spesso è il primo farmaco sistemico scelto. In caso di articolazioni molto infiammate, brevi cicli di FANS o di cortisone a basso dosaggio possono dare sollievo. Quando la malattia è più seria – ad esempio c’è coinvolgimento oculare, trombosi o manifestazioni neurologiche – si passa a immunosoppressori più potenti: il corticosteroide ad alte dosi (es. prednisone 1 mg/kg) viene usato nelle fasi acute, specie per l’uveite e il SNC. Si aggiungono poi farmaci come azatioprina (molto utilizzata nell’uveite di Behçet, riduce le recidive oculari e preserva la vista), oppure ciclosporina (efficace su uveiti ma da usare con cautela per possibili effetti sul rene e per rischio di peggiorare eventuali neuro-Behçet). Anche il methotrexate può essere impiegato, in particolare per l’artrite e l’occhio. Nelle forme con coinvolgimento vascolare severo (aneurismi polmonari, trombosi cerebrali) o neurologico grave, si può ricorrere alla ciclofosfamide e a dosi di cortisone molto alte, come terapia di attacco. Negli ultimi anni, i farmaci biologici hanno aperto nuove prospettive: anti-TNF come infliximab e adalimumab hanno mostrato ottima efficacia nel trattare l’uveite resistente e le manifestazioni articolari e mucose, spesso permettendo di ridurre il cortisone e altri immunosoppressori. Anche interferone-alfa è stato usato con qualche successo per l’occhio. Insomma, oggi la gestione terapeutica è individualizzata: per un paziente con prevalentemente afte dolorose che gli impediscono di alimentarsi, si punterà su colchicina e magari talidomide (un farmaco immunomodulante che è molto efficace nel sopprimere le afte, sebbene per i suoi effetti collaterali e teratogenicità sia riservato ai casi resistenti); per un altro con occhio e sistema nervoso colpiti, si farà immunosoppressione aggressiva con biologici e ciclofosfamide.
La malattia di Behçet tende ad avere un decorso cronico con fasi di remissione e riacutizzazione. In molti pazienti, col passare degli anni, gli episodi acute diventano meno frequenti e la malattia “si spegne” parzialmente. La prognosi varia a seconda delle manifestazioni: la maggior parte dei casi ha un decorso benigno (anche se fastidioso per le recidive di ulcere e artriti), e l’aspettativa di vita non è significativamente ridotta.
Tuttavia, ha sicuramente un forte impatto sulla qualità di vita: le ulcere orali continue rendono difficoltoso mangiare e parlare, quelle genitali causano disagio fisico e psicologico, l’uveite può costringere a riposo al buio, i dolori articolari e muscolari limitano l’attività. I pazienti spesso devono pianificare la propria vita attorno alle possibili ricadute. Alcuni sviluppano ansia anticipatoria o depressione. Fortunatamente, con un trattamento adeguato e follow-up regolare da parte di reumatologi, oculisti e neurologi quando necessario, è possibile prevenire le complicanze più gravi e mantenere la malattia sotto un controllo ragionevole. Ad esempio, oggi la cecità da Behçet si può evitare nella maggioranza dei pazienti grazie a terapie immunosoppressive tempestive. Anche la mortalità (che poteva avvenire per rottura di aneurisma polmonare o coinvolgimento cerebrale esteso) è divenuta rara, grazie alle terapie. Dunque, l’aspettativa di vita dei pazienti Behçet adeguatamente seguiti è vicina alla norma in assenza di manifestazioni catastrofiche.
In conclusione, la sindrome di Behçet è una malattia rara e complessa, che richiede consapevolezza sia da parte del paziente sia dei medici. Non incide drasticamente sulla sopravvivenza nella maggioranza dei casi, ma può compromettere seriamente la qualità della vita se non gestita bene. La chiave sta nel trattamento sintomatico aggressivo (non lasciare che il paziente soffra inutilmente per le afte, ad esempio) e nell’uso di terapie sistemiche per prevenire danni d’organo. Con le cure odierne, molti pazienti riescono a ridurre le recidive e a condurre un’esistenza quasi normale, compatibilmente con alcune limitazioni (ad esempio, evitare alcuni fattori scatenanti come certe infezioni o stress forti, e dover assumere farmaci immunosoppressori per lungo tempo). In prospettiva, la ricerca continua su questa malattia, e nuove terapie mirate (magari anti-interleuchine specifiche) potranno ulteriormente migliorare il controllo della Behçet, nella speranza di farla passare da malattia cronica attiva a malattia dormiente nella vita dei pazienti.




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