Stress e burnout lavorativo
- Gruppo Sadel
- 24 lug
- Tempo di lettura: 7 min
Il lavoro occupa una parte significativa della nostra vita e incide profondamente sul nostro benessere. Quando le richieste lavorative diventano eccessive e prolungate, possono condurre a stress cronico e, nei casi peggiori, alla sindrome del burnout. Quest’ultima è un esaurimento psicofisico legato al lavoro, caratterizzato da perdita di energia, cinismo o distacco mentale e calo di efficacia professionale. Il concetto di burnout, inizialmente osservato nelle professioni d’aiuto (medici, infermieri, insegnanti), oggi si riconosce trasversale a molti settori. L’Organizzazione Mondiale della Sanità lo ha classificato nell’ICD-11 come fenomeno occupazionale definito da stress da lavoro cronico non gestito. Lo stress e burnout lavorativo sono temi di grande attualità: ritmi sempre più incalzanti, pressione per la performance, precarietà e iper-connessione (mail e smartphone aziendali che ci tengono “sempre sul pezzo”) stanno facendo crescere il numero di lavoratori esausti, demotivati o malati a causa del lavoro. Affrontare questo problema è fondamentale non solo per la salute individuale ma anche per la produttività sostenibile delle aziende e per evitare costi sociali (assenteismo, turn over, infortuni).
Cos’è il burnout e come riconoscerlo: Il burnout non è semplice stanchezza. È uno stato di esaurimento totale. I sintomi principali includono: esaurimento emotivo e fisico – ci si sente svuotati, incapaci di recuperare le energie anche dopo il riposo; distacco mentale o cinismo verso il lavoro – la persona sviluppa un atteggiamento negativo, si sente disillusa, può trattare clienti o colleghi in modo meccanico e freddo; ridotta efficacia – calo del senso di realizzazione personale, si percepisce di non fare bene il proprio lavoro e di non essere più all’altezza. Spesso si aggiungono sintomi di stress cronico: disturbi del sonno, mal di testa, problemi gastrointestinali, irritabilità, difficoltà di concentrazione. Si può manifestare anche con ansia al pensiero di andare al lavoro, aumento del consumo di alcol o altre sostanze per “spegnere” lo stress, isolamento dai colleghi. Il burnout non arriva all’improvviso: è l’esito di un processo graduale. Inizia magari con un periodo di iper-impegno (lavoratore idealista e motivato che dà il 120%), poi subentra lo stress continuo e la persona inizia a trascurare i propri bisogni, dorme meno, sacrifica vita privata. A lungo andare, le risorse interiori si esauriscono e si scivola nell’esaurimento e nell’apatia. Importante distinguere burnout da depressione clinica: possono somigliare (infatti spesso coesistono), ma il burnout è specificamente legato al contesto lavorativo – chi ne soffre tipicamente sta bene durante ferie o weekend, per poi stare malissimo la domenica sera al pensiero del lunedì. La depressione invece pervade tutti gli ambiti di vita. Ciò detto, il burnout prolungato può sfociare in veri e propri disturbi depressivi o d’ansia.
Cause e fattori di rischio sul lavoro: Il burnout deriva da un disequilibrio prolungato fra richieste e risorse sul lavoro. Tra i fattori organizzativi più comuni: carichi di lavoro eccessivi (troppo lavoro per troppo tempo, senza adeguato recupero), pressione per scadenze stringenti, ruoli poco chiari (incertezza sulle mansioni e aspettative), scarso controllo sul proprio lavoro (basso livello di autonomia decisionale), mancanza di supporto da superiori o colleghi, e ovviamente ambienti conflittuali o poco equi (mobbing, favoritismi, discriminazioni). Anche la mancanza di riconoscimento per gli sforzi compiuti contribuisce: lavorare sodo senza mai ricevere feedback positivi o gratifiche demoralizza. Stili di leadership autoritari o comunicazione inefficace peggiorano il clima. Alcune professioni di aiuto (es. medici, insegnanti) hanno la caratteristica di un elevato coinvolgimento emotivo con utenti e spesso risorse limitate: ciò è un terreno fertile per burnout (dare tanto e percepire di non risolvere mai i problemi). A livello individuale, persone molto dedite, perfezioniste o con alte aspirazioni possono sovraccaricarsi, così come chi ha difficoltà a dire di no e delegare. Anche la monotonia o al contrario la iperstimolazione continua (come nei call center ad alto volume o nelle sale di trading finanziario) sono stressanti. Non ultimo, la cultura del lavoro a livello sociale: in contesti dove si glorifica l’essere sempre impegnati (la “hustle culture”), i dipendenti si sentono spinti a fare straordinari, a rispondere alle email a mezzanotte, a non prendersi ferie – tutte cose che portano a logoramento. L’equilibrio vita-lavoro è un altro fattore: se l’azienda non lo facilita (es. straordinari non pagati di routine, riunioni fissate oltre l’orario, reperibilità continua), il rischio di stress aumenta notevolmente. Da citare poi l’insicurezza del lavoro: la paura costante di perdere il posto (in contesti di precarietà o riduzioni di personale) crea un livello di stress basale molto alto.

Effetti dello stress lavoro-correlato: Il malessere da stress e burnout ha conseguenze su vari livelli. Sul piano fisico, lo stress cronico può portare a sintomi psicosomatici: mal di testa, disturbi gastrointestinali (gastriti, colon irritabile), tensioni muscolari, insonnia, calo delle difese immunitarie (ci si ammala più spesso). A lungo andare aumenta il rischio di ipertensione, malattie cardiache, o disturbi metabolici. Sul piano psicologico, oltre a esaurimento e ansia, possono insorgere depressione e disturbi dell’umore. Il burnout riduce la soddisfazione personale e può portare all’abbandono del lavoro: persone valide che amavano la propria professione arrivano a odiarla e se ne vanno (questo è un problema es., tra gli insegnanti e i medici in alcuni paesi). Inoltre, un lavoratore burnt out è spesso meno produttivo e più propenso a errori. Questo impatta le aziende: aumento di assenteismo (giorni di malattia), presenteismo (gente presente ma inconcludente), calo della qualità del servizio. Nei casi peggiori, lo stress eccessivo può contribuire a incidenti e infortuni sul lavoro (per calo di attenzione) o comportamenti a rischio. In Giappone esiste persino il termine “karoshi” per indicare la morte per eccesso di lavoro (infarti o ictus in quarantenni stremati da orari impossibili). Socialmente, il burnout lavorativo incide anche sulla vita privata: chi torna a casa esausto può avere conflitti familiari, trascurare i figli, ritirarsi dalle amicizie, con un peggioramento del benessere generale. Studi hanno mostrato come il burnout del genitore possa influenzare negativamente anche i figli (ad esempio, minore coinvolgimento con loro, maggiori tensioni).
Prevenzione e interventi per lo stress lavorativo: Contrastare lo stress e burnout richiede interventi sia da parte dell’organizzazione sia del singolo. Sul piano organizzativo, le aziende dovrebbero adottare misure di prevenzione dello stress lavoro-correlato previste anche dalla legge (in Italia dal D.Lgs 81/08): valutare i fattori di rischio e ridurli. Ad esempio, monitorare i carichi di lavoro e assumere personale aggiuntivo se i volumi crescono; garantire pause adeguate e il diritto alla disconnessione fuori orario (ad es. politiche che vietino di inviare email di lavoro la notte o nel weekend); definire chiaramente ruoli e compiti per evitare ambiguità; formare i dirigenti a uno stile di leadership supportivo e a riconoscere i segnali di stress nei collaboratori. Molte aziende illuminates offrono programmi di work-life balance: orari flessibili, possibilità di smart working, servizi di assistenza famigliare (nido aziendale, convenzioni per caregiver), ecc. Alcune hanno introdotto sportelli di supporto psicologico per i dipendenti, o corsi di gestione dello stress (tecniche di mindfulness, yoga, training autogeno). Anche favorire un buon clima sociale aiuta: team building, opportunità di confronto, valorizzazione del lavoro di squadra anziché competizione tossica. Importante è anche il riconoscimento: dare feedback costruttivi, celebrare i successi (anche piccoli) mantiene alta la motivazione. La prevenzione del burnout passa anche per l’ascolto delle esigenze: magari permettere rotazioni su mansioni diverse per chi è troppo monotono, o job enrichment per dare più senso a lavori ripetitivi. Per i settori a rischio, come la sanità, alcune soluzioni includono gruppi periodici di debriefing dove i professionisti possano parlare del proprio vissuto emotivo (ciò riduce il logorio).
A livello individuale, il lavoratore può adottare varie strategie: imparare a porre limiti (dire no quando sovraccarico, non portarsi lavoro a casa se non strettamente necessario), prendersi pause regolari durante la giornata (alzarsi, fare due passi, staccare 10 minuti ogni 2 ore), coltivare uno stile di vita sano fuori dal lavoro (attività fisica, hobby, momenti di relax) per ricaricare le batterie e ridurre l’effetto dello stress. Tecniche come la mindfulness o la respirazione diaframmatica possono aiutare a mantenere la calma nelle giornate intense. Molte persone beneficiano di un mentore o confronto con colleghi: condividere le difficoltà spesso fa capire di non essere soli e può portare a soluzioni. Se si avvertono segnali seri (come attacchi d’ansia al mattino prima di andare in ufficio, o apatia marcata), è opportuno cercare aiuto professionale – uno psicologo del lavoro o psicoterapeuta può fornire strumenti per gestire la situazione e valutare se è il caso di prendere un periodo di malattia per recupero. In casi estremi, cambiare posizione o lavoro può diventare necessario: la salute viene prima.
Lavorare non dovrebbe significare ammalarsi. Un messaggio pratico per tutti: ascoltatevi. Se il lavoro vi sta consumando al punto da non avere più energie per altro, se ogni mattina provate disgusto o ansia pensando alla giornata lavorativa, fermatevi un attimo. Parlatene con qualcuno di fiducia, cercate possibili correttivi. Non siete deboli o pigri – il burnout può colpire i lavoratori più zelanti e capaci. Imparate a ritagliarvi spazi per voi: un’ora di palestra, una passeggiata, cena con gli amici senza parlare di lavoro. La produttività non calerà perché vi concedete una pausa; al contrario, sarete più lucidi e creativi. Per i datori di lavoro e manager, il consiglio è: prendetevi cura delle vostre persone. Un dipendente stressato e demotivato difficilmente sarà un dipendente efficace. Create ambienti dove si possa esprimere se qualcosa non va, dove l’errore non sia punito ma compreso, dove il merito sia riconosciuto. Investire nel benessere dei lavoratori non è un costo, è un guadagno: riduce turnover, assenze, incrementa l’engagement e dunque i risultati. I segni del burnout vanno colti prima che diventino severi: un calo di rendimento inspiegato, maggiore cinismo, irritabilità in un collaboratore prima entusiasta sono campanelli d’allarme. Agite presto: magari attraverso un colloquio individuale di supporto, o ridistribuendo il carico. In sintesi, lo stress lavorativo va gestito come qualsiasi altro rischio: con prevenzione e interventi mirati. Come recitava un recente slogan, “un buon lavoro è quello che ti fa stare bene, non solo quello che ti fa guadagnare bene”. L’obiettivo dev’essere un lavoro sano, in cui le persone possano realizzarsi senza bruciarsi. Ciò richiede uno sforzo congiunto di aziende, lavoratori e istituzioni, ma i benefici – in termini di salute, felicità e produttività – valgono decisamente la pena. Se vi trovate sul punto di crollare, ricordate: non siete soli e ci sono vie d’uscita. Chiedere aiuto è il primo passo per spezzare il circolo vizioso e ritrovare un equilibrio tra lavoro e vita. La vita è troppo breve per passarla bruciati dal lavoro – costruiamo una cultura dove si possa lavorare con passione, ma anche con serenità e rispetto per i propri limiti umani.
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